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Quasi al confine tra le province di Messina e Palermo, a soli 70 metri sul livello del mare, sorge Santo Stefano di Camastra, meglio conosciuta come “La Città delle Ceramiche”.Una cittadina molto caratteristica, unica nel suo genere, per le vie piene di coloratissime botteghe di ceramica e ricche di interventi di arredo urbano.Gli inserti di lava decorata nelle strade, i numeri civici delle case, le insegne ed i pavimenti dei locali, le fontane, i muri rivestiti di splendide mattonelle maiolicate, i sedili, conferiscono una cornice unica e magica alla solare cittadina.
Da visitare sicuramente il Duomo, costruito nel 1685, contenente bellissime statue e dipinti del '600 e del '700; la Chiesa di Maria SS. Della Catena con la tomba del Duca di Camastra, Palazzo Trabia, sede del Museo della Ceramica e Palazzo Armao, sede della Biblioteca Comunale con all'esterno frontoni neoclassici e decorazioni in ceramica, il Cimitero Vecchio con le sue tombe rivestite di antiche mattonelle.
La storia di Santo Stefano è racchiusa tutta in tre toponimi: Noma, civiltà di pastori e contadini; Santo Stefano di Mistretta, aglomerato urbano e casale alle dipendenze di Mistretta; infine Santo Stefano di Camastra, città moderna e dell'utopia, il centro che emula le forme del parco francese di Versailes eal quale si richiama la forma della pianta di villa Giulia a Palermo.Dal 1682 la storia di S. Stefano si lega, in maniera indissolubile, alla figura di Giuseppe Lanza Barresi, cavaliere dell'Alcantara, Duca di Camastra e Principe di Santo Stefano che nel 1683 ottenne dal Viceré di Sicilia la licenza di riedificare l' attuale sito dopo che un cataclisma idrogeologico aveva completamente distrutto e raso al suolo il vecchio casale di Santo Stefano di Mistretta. Il nuovo paese deve considerarsi una creazione del Duca di Camastra che nel concepire l'idea del nuovo centro urbano tenne in considerazione i suggerimenti di uno dei più grandi ingegneri militari del 1600, il Grunemberg. Il centro storico di Santo Stefano, primo tra le parti del tessuto urbano ad essere realizzato a partire dal 1683, è senza dubbio uno dei più affascinanti centri storici presenti nell'intera penisola e si presenta come un quadrato imperfetto tetrapartito al cui interno si inseriscono un rombo e due diagonali.
Fiorente ed apprezzata è stata a partire dal secolo XVIII la produzione di mattonelle maiolicate esportate in tutto il meridione d'Italia e in diversi paesi del nord Africa.
La realizzazione delle mattonelle maiolicate richiese una migliore organizzazione delle officine che attinsero a maestranze specializzate provenienti da Napoli e dalla Francia.
L'argilla veniva pressata in “finestre” di legno di 22 cm di lato e marchiata sul retro con il nome della fabbrica.
La creta asciugando si riduceva e il mattone "stampato" raggiungeva la misura tradizionale di cm. 20 x 20.
Una volta asciugati i mattoni venivano messi a cuocere in forni a legna grandi anche più di trenta metri cubi.
L'operazione di cottura durava circa venti ore e quella di raffreddamento due giorni, un tempo superiore a quello necessario per la stoviglieria.
I mattoni venivano poi decorati passando il colore su “mascherine”, cartoncini pesanti imbevuti di olio di lino, che una volta asciutte e impermeabili, venivano traforate secondo un disegno prestabilito.
Per ogni colore occorreva usare una mascherina diversa.
I colori più usati erano il verde ramina, il gialloarancio, il blu cobalto, il rosa e il manganese, quasi sempre su smalto bianco.
Alla fine dell'Ottocento vennero introdotti smalti colorati, fra cui l’azzurro.
Il prezzo aumentava a seconda della quantità di mascherine impiegate.
Dopo la decorazione si procedeva alla seconda cottura, seguendo il procedimento usato nella prima.
Il trasporto veniva fatto tramite carretti ma soprattutto via mare con appositi velieri ormeggiati nella zona delle “Barche Grosse”.
L'aumentata richiesta di mattonelle maiolicate stimola le officine ceramiche stefanesi a produrre di più, meglio e in tempi più brevi.
Il repertorio dei decori, in un primo momento non molto vasto, si fa via via più complesso e ricco di interventi manuali.
Ad ogni decoro viene dato un nome: "rococò", "cinque punti", "rigatino", "lancetta".
Pur tenendo conto della tradizione ceramica tipica siciliana vengono anche introdotti motivi francesi presenti nelle porcellane settecentesche che utilizzano solo il blu cobalto su bianco.
L'ex dimora del Duca di Camastra, oggi Palazzo Trabia, è sede del Museo della Ceramica e svolge anche un ruolo di centro polivalente per attività culturali.
Tale destinazione funzionale si affianca all’attività del Liceo Artistico Regionale “Ciro Michele Esposito” e delle sessanta botteghe artigiane presenti nel territorio.
Attualmente la raccolta museale consiste in una vasta serie di oggetti dell'antica tradizione Stefanese, oggetti d'uso quotidiano legati alle esigenze della famiglia e del lavoro e ad un assortito campionario della produzione attuale.
Vasta è pure la raccolta delle antiche mattonelle maiolicate, circa 1500, vero vanto della produzione di S. Stefano dal XVII secolo ad oggi.
Se è vero che i più maestosi palazzi Siciliani furono ancor di più impreziositi dalle splendide mattonelle di Santo Stefano, è anche vero che quella di smaltare e decorare mattoni è stata ed è la vera arte dei maestri ceramisti Stefanesi che, insieme alla produzione più "povera" degli oggetti d'uso e della ceramica artigianale, hanno fatto di questo centro una vera e propria città d'arte che vuole continuare ad imporsi con grande dignità all'attenzione culturale ed economica del mercato internazionale.
Il luogo di nascita delle piastrelle può essere fatto coincidere con i paesi mediterranei medio orientali, dove nel 3.000 a.C. gli egiziani fabbricavano mattonelle smaltate con la vernice azzurra ottenuta dalla malachite, che ancora oggi ricopre gli scarabei, amuleti egizi per eccellenza. La piastrella era un prodotto particolarmente sofisticato e molto costoso, utilizzato solo per le costruzioni di maggiore importanza e prestigio.
La ideazione di questo prodotto segue quella del vasellame e dell’oggettistica in ceramica che risale al periodo tra il 5.000 e il 10.000 a.C., quando si scoprì che era sufficiente modellare della creta ed essiccarla al sole, o meglio porla sul fuoco, per ottenere recipienti in ceramica dura. Grazie poi ad uno dei primi utilizzi della tecnologia della ruota, il tornio da vasaio si ottennero vasi, anfore, ciotole ed orci. In seguito ebbe inizio la produzione di mattoni, tegole e piastrelle . Queste ultime inizialmente, come i vasi e le stoviglierie, erano prive di rivestimenti o smalti e prevalentemente incise. Durante la supremazia greca e romana tali produzioni caddero in disuso, conservandosi solamente nella civiltà che più contribuì alla diffusione dell’utilizzo della piastrella: quella araba. Furono infatti questi popoli che raggiunsero, nella produzione delle piastrelle, rilevantissimi risultati artistici, imparando a sostituire i graffiti con linee di pigmento, ad ottenere differenti colorazioni e a tenerle separate. L’espansione araba ad Ovest e le repubbliche marinare contribuirono a diffondere questi prodotti in tutto il Mediterraneo, in particolare in Italia, dove nasce una cultura della piastrella prima con la maiolica e poi con le faenze. Contemporaneamente anche in Andalusia si diffonde l’utilizzo delle piastrelle, per esigenze estetiche e soprattutto a causa del clima. La piastrella inizialmente usata solo per il rivestimento di pareti, inizia qui ad essere utilizzata anche per rivestire soffitti, scalini, panche e muretti. Nascono dei centri di produzione di ceramica a Siviglia, Valenza, Toledo e a Castellòn de la Plana, sede oggi di un considerevole numero di aziende produttrici di piastrelle in ceramica.